TRANSAZIONE FISCALE: APPLICABILITA’,
GUIDA OPERATIVA E SPUNTI DI RIFLESSIONE

di Stefano Salvadeo e Giuseppe Bernoni

1) PREMESSA

In questi ultimi mesi il ricorso alle procedure concorsuali è aumentato per effetto dell’attuale situazione economica. In virtù di tali circostanze, si sta delineando un vero e proprio “banco di prova” per la riforma fallimentare, che come noto ha profondamente innovato la materia.

In particolare nel presente articolo ci si vuole soffermare sull’istituto della transazione fiscale all’interno degli istituti del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, in seguito alle novità intervenute con il decreto “anticrisi” e ai relativi chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria.

Dopo aver analizzato i profili più rilevanti dell’istituto della transazione fiscale, l’articolo ne affronterà gli aspetti di maggiore attualità, sia dal punto di vista normativo, sia da quello applicativo, così come emerge dall’utilizzo di tale strumento nella pratica professionale.

Si evidenzierà, inoltre, come gli effetti della transazione ai fini tributari siano differenti nelle due fattispecie prospettate del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.

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2) LA TRANSAZIONE FISCALE

Il nuovo istituto della transazione fiscale è stato introdotto dall’art. 146 del D.Lgs. n. 5/2006, che ha inserito all’interno della Legge Fallimentare (in seguito: L.F.) l’art. 182-ter.

In seguito, l’art. 16, co. 5 del D.Lgs. n. 169/2007 ha modificato tale strumento, estendendone dal 1° gennaio 2008 l’applicabilità (oltre che nelle ipotesi di concordato preventivo) anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

La transazione fiscale, che vede come controparti nella procedura l’imprenditore/debitore e l’Amministrazione Finanziaria, concerne la possibilità di corrispondere in misura ridotta e/o dilazionata uno o più crediti tributari, siano questi privilegiati o chirografari, anche se non iscritti a ruolo.

Nel disciplinare il meccanismo della transazione fiscale, l’art. 182-ter L.F. detta istruzioni anche riguardo al grado di soddisfazione minimo dei crediti, a seconda della loro natura:

· Crediti tributari o contributivi privilegiati: percentuale di soddisfazione, tempi di pagamento ed eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore oppure ai creditori che vantano una posizione giuridico-economica omogenea a quella delle agenzie e degli enti previdenziali;

· Crediti tributari o contributivi chirografari: il trattamento non può essere inferiore rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisioni in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.

In tema di applicazione della transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione del debito l’Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare del 18 aprile 2008 n. 40/E, con la quale ha illustrato i soggetti, i tributi oggetto della transazione, le modalità della procedura, la tempistica, etc..

Essa ha sottolineato come, essendo l’istituto della transazione fiscale innovativo nell’ordinamento tributario e soprattutto operando in deroga a regole generali (l’indisponibilità del credito tributario), la specifica normativa che lo disciplina non è suscettibile di interpretazioni analogiche o estensive.

Per questo motivo, la falcidia del credito tributario è ammissibile soltanto ai sensi della disciplina dettata dall’art. 182-ter L.F.. In mancanza della proposta di transazione, dunque, il debitore è obbligato a saldare integralmente il debito verso l’erario e agli enti previdenziali.

Particolare disciplina è prevista per l’IVA, in quanto l’art. 182-ter esclude espressamente dalla transazione fiscale i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”. Secondo l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria, l’IVA va ricompresa tra le risorse proprie comunitarie e pertanto i debiti tributari relativi a tale imposta non possono essere oggetto di falcidia. Una conclusione che muove dalla Direttiva CEE del 28 novembre 2006, n. 112, laddove questa afferma che tra le risorse proprie della Comunità europea va inclusa l’IVA risultante “applicando un’aliquota comune ad una base imponibile determinata in modo uniforme e secondo regole comunitarie”.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 40/E del 2008, aveva inviato istruzioni agli Uffici, invitandoli pertanto ad escludere l’IVA dalle transazioni fiscali, pur dovendo indicare il debito IVA nella certificazione del debito complessivo tributario da rilasciare ai sensi dell’art. 182-ter L.F..

Nello stesso documento di prassi, ribadita l’impossibilità di defalcare il debito IVA gravante sul contribuente, si affermava l’opportunità per il contribuente di presentare domanda di pagamento parziale (o anche di dilazione) per le sanzioni e gli interessi relative al debito IVA, mentre quest’ultimo doveva essere corrisposto integralmente.

Va però evidenziato che una posizione diversa era stata assunta dal Tribunale di Milano, il quale ha riconosciuto come transigibile l’IVA, stabilendo che “..qualunque sia la percentuale del pagamento del credito IVA proposta dal ricorrente nella transazione fiscale ex art. 182-ter L.F. essa non modificherà mai l’imponibile nazionale su cui calcolare la risorsa spettante alla Cee. Conseguentemente l’IVA, quale imposta nazionale amministrata dalle Agenzie fiscali, non rientra tra le risorse proprie dell’Unione Europea”.

La tesi dell’Amministrazione Finanziaria ha tuttavia trovato riscontro nell’intervento normativo disposto con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, il quale ha stabilito che è possibile presentare istanza di transazione anche per l’IVA, ma al solo fine di ottenere una mera dilazione di pagamento e non anche la riduzione del quantum.

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3) LE ALTRE NOVITA’ DEL DECRETO ANTICRISI E LE NORME TRANSITORIE

Oltre a escludere esplicitamente dalla transazione fiscale l’IVA, per la quale la proposta può prevedere “esclusivamente la dilazione del pagamento”, il decreto “anticrisi” ha apportato altre modifiche all’art. 182-ter.

In prima battuta, il legislatore ha stabilito che oggetto della domanda di transazione fiscale può essere anche la rateizzazione (e non solo la riduzione) del debito tributario.

Per quanto riguarda i tributi oggetto della transazione, il previgente art. 182-ter elencava tassativamente quelli ai quali si applicava la disposizione, vale a dire i “tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori…ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”.

In proposito, il decreto anticrisi ha incluso tra le somme oggetto della transazione anche “i contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori”.

Infine, alla luce dell’entrata in vigore del D.L. n. 185/2008, avvenuta il 29 novembre 2008, l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 14/E del 10 aprile 2009 ha precisato il trattamento applicabile alle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti già in corso in tale data.

· Concordato preventivo: Il debitore che al 29 novembre 2008 abbia già avviato la procedura di concordato preventivo ha diritto al pagamento dilazionato dell’IVA. Per ricevere l’agevolazione, il contribuente dovrà presentare una nuova domanda di concordato, anche integrando quella precedentemente presentata, purché relativamente a quest’ultima non siano già iniziate le procedure di voto da parte dei creditori;

· Accordi di ristrutturazione dei debiti: E’ accordata anche in questo caso la facoltà di richiedere la rateizzazione del pagamento del debito IVA per gli imprenditori che abbiano presentato domanda di ristrutturazione dei debiti anteriormente al 29 novembre 2008. Il debitore può integrare o modificare la proposta già inoltrata, oppure ripresentarne una nuova.

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4) LA TRANSAZIONE FISCALE NEL CONCORDATO PREVENTIVO

Come noto, l’istituto del concordato preventivo è una particolare procedura concorsuale che mira a evitare il fallimento dell’imprenditore in crisi. Attraverso l’istituto in commento, infatti, l’imprenditore estingue tutti i debiti gravanti sulla propria impresa, tramite il rispetto di un piano di ristrutturazione dei debiti e il pagamento di parte di essi attraverso qualsiasi forma.

A differenza di altre procedure concorsuali, quali per esempio il concordato fallimentare, il concordato preventivo è uno strumento che agisce ex ante rispetto al fallimento e non costituisce, quindi, uno strumento di chiusura della procedura fallimentare.

In presenza di debiti di natura tributaria, l’imprenditore ha la possibilità di inserire nell’ambito del concordato anche la transazione fiscale, proponendo il pagamento in misura ridotta e/o dilazionata dei crediti tributari (privilegiati e chirografari).

In tal caso, contestualmente alla presentazione della domanda di concordato presso il Tribunale (contenente il piano che preveda il soddisfacimento parziale dell’intero complesso dei creditori), il debitore dovrà depositare presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione territorialmente competenti la proposta di transazione.

Mentre la normativa previgente non lo consentiva, dopo la riforma operata dal D.Lgs. n. 169/2007 il legislatore ha previsto la possibilità di proporre il pagamento in misura ridotta dei creditori (tributari e non) muniti di privilegio, pegno e ipoteca.

L’Amministrazione Finanziaria, dunque, è chiamata a partecipare alla votazione del concordato, contenente la transazione fiscale, secondo le ordinarie regole fissate dalla legge fallimentare. Sul punto, però, non risulta che a tutt’oggi gli Uffici abbiano a disposizione criteri uniformi da seguire nel valutare se approvare o meno la proposta di transazione fiscale. Onde evitare comportamenti disomogenei da parte degli Uffici, pur mantenendo l’autonomia di questi ultimi, quindi, sembra auspicabile un intervento di prassi che introduca chiaramente parametri oggettivi di valutazione. Parimenti, sembra opportuno che l’Agenzia delle Entrate fornisca le istruzioni operative per la partecipazione dei propri funzionari alle adunanze dei creditori.

E’ poi interessante evidenziare che, sia nell’adunanza “plenaria” sia nell’ipotesi di suddivisione in classi dei creditori, le sorti dei debiti tributari seguono quelle della totalità dei crediti. Se, infatti, la domanda di concordato preventivo ottiene l’approvazione e il tribunale procede con la procedura di omologazione, tutti i creditori (compresi quelli che non hanno fornito il proprio assenso alla proposta) vengono soddisfatti secondo le percentuali indicate nel piano di ristrutturazione.

Nel caso di suddivisione dei creditori in classi, se si ottiene la doppia maggioranza (dei crediti totali e del numero di classi), ma una o più classi (tra cui, per esempio, l’Amministrazione Finanziaria) respingono la proposta di concordato, il tribunale può procedere all’omologazione (vincolando anche la classe dissenziente) solo allorquando ritenga che il credito vantato dai soggetti opponenti possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, in virtù del c.d. “cram down power”.

Ovviamente, qualora l’Amministrazione Finanziaria dia il proprio assenso alla transazione fiscale, ma il concordato sia giudicato inammissibile dal tribunale o non approvato dai creditori, verrà dichiarato il fallimento dell’imprenditore e anche i debiti tributari dovranno essere soddisfatti attraverso la procedura concorsuale.

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5) LA TRANSAZIONE FISCALE NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI

Con il D.Lgs. n. 169/2007 è stato modificato anche l’art. 182-bis, riguardante gli accordi di ristrutturazione dei debiti. In sostanza, il legislatore ha attribuito all’imprenditore privato la facoltà di risolvere la situazione di crisi, tramite una soluzione semplificata di natura stragiudiziale consistente in un accordo con i creditori rappresentanti almeno il 60% delle obbligazioni gravanti sul debitore.

All’interno delle trattative con i creditori che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, l’imprenditore in crisi può dunque proporre all’Amministrazione Finanziaria la domanda di transazione, sia antecedentemente sia contestualmente alle proposte di accordo con gli altri creditori.

I tributi transigibili sono gli stessi previsti per la transazione effettuata nell’ambito del concordato preventivo: l’IVA, pertanto, rimane fuori dai confini applicativi dell’istituto (eccezion fatta per gli importi dovuti a titolo di interessi e sanzioni).

In tale contesto, la transazione fiscale assume le caratteristiche di un vero e proprio contratto tra il debitore e l’Amministrazione Finanziaria, il cui contenuto (anche su percentuali, tempi e modi di soddisfazione dei crediti) è lasciato con una certa ampiezza alla volontà delle parti e nel quale l’autorità giudiziaria interviene soltanto ex post.

Proprio a causa della natura contrattuale della ristrutturazione dei debiti, che vincola esclusivamente le parti (imprenditore/debitore e creditori aderenti), a differenza del concordato preventivo, in caso di diniego da parte dell’Amministrazione Finanziaria i debiti tributari andranno soddisfatti integralmente e secondo le scadenze fissate dalla legge.

E’ opportuno evidenziare che, dopo un debutto che ha registrato un’applicazione praticamente nulla dell’istituto, recentemente la transazione fiscale realizzata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti ha visto alcuni casi andati a buon fine, come quelli omologati dai tribunali di Ancona (primo in Italia) e di Parma.

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6) EFFETTI FISCALI E SOPRAVVENIENZE

Nell’ottica di una più completa analisi dell’istituto in commento, vale la pena soffermarsi anche sugli aspetti fiscali ai fini dell’imposizione diretta della transazione dei tributi nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione. E’ da valutare, infatti, se la riduzione in bilancio del debito erariale avvenuta mediante la transazione fiscale (senza che vi corrisponda un pagamento di pari importo) generi o meno effetti reddituali.

A tale proposito, è bene sottolineare subito che c’è una sostanziale differenza tra le due ipotesi: nel concordato preventivo, lo stralcio dei debiti tributari non genera sopravvenienze attive imponibili, mentre nell’accordo di ristrutturazione dei debiti le istruzioni ministeriali delineano una soluzione opposta. Pertanto, gli importi “risparmiati” tramite falcidia, anche se sul punto la dottrina non è univoca, sono da considerarsi tassabili. Un elemento che pone, quindi, un ulteriore freno all’appetibilità della transazione fiscale all’interno degli accordi di ristrutturazione.

Si sintetizzano di seguito le previsioni normative e interpretative legate alle due fattispecie.

L’art. 88, co. 4 del TUIR afferma che non sono da considerarsi sopravvenienze attive “la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo”. Pertanto, in tali casi la quota dei debiti che viene stralciata non contribuisce nel conto economico alla determinazione della base imponibile.

La ratio della disposizione sta anche nel fatto che, nella maggior parte dei casi, dopo il concordato (preventivo o fallimentare) l’impresa cessa la propria attività e quindi viene a mancare una successiva determinazione del reddito d’impresa, motivo per cui le riduzioni dei debiti vengono escluse dai casi che generano sopravvenienze attive.

Anche per quanto riguarda l’IRAP, la cui base imponibile è determinata secondo le regole di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, le riduzioni dei debiti in sede di concordato preventivo e fallimentare assumono neutralità fiscale. La risoluzione ministeriale n. 29/E del 1° marzo 2004, infatti, ha precisato che plusvalenze e minusvalenze realizzate nell’ambito della procedura configurano componenti straordinari di reddito e pertanto devono essere classificate nella voce E.20 del conto economico. Di conseguenza, tali poste sono escluse dalla formazione del valore della produzione imponibile ai fini IRAP.

Più articolato, invece, il discorso riguardo all’estensione della non imponibilità ai fini delle imposte dirette delle sopravvenienze attive derivanti dalla falcidia dei debiti (compresi quelli tributari) anche agli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis.

Sul punto si registrano nella dottrina e nella prassi opinioni contrastanti. Secondo il ministero dell’Economia e delle Finanze negli accordi ex art. 182-bis si viene a creare un’insussistenza di perdite e oneri diversi iscritti in bilancio in esercizi precedenti nei quali hanno ridotto il gravame fiscale, rendendo quindi necessario il recupero a tassazione di tali voci. Anche l’Agenzia delle Entrate si è espressa in tale senso, sia in sede di videoconferenza Map, sia ribadendo in occasione di Telefisco 2009 la non assimilabilità degli accordi di ristrutturazione dei debiti all’istituto del concordato preventivo.

Va segnalato, d’altra parte, che in dottrina si riscontrano prese di posizione che vanno in senso opposto, motivate dallo spirito “agevolativo” che sottende all’istituto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e che delineerebbe perciò la non imponibilità delle sopravvenienze attive, generate dallo stralcio dei debiti, in capo all’imprenditore in crisi.

Tali incertezze hanno generato difficoltà nella gestione operativa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, che non sono ancora state risolte attraverso una modifica normativa.

Per tutte le altre ipotesi diverse dal concordato preventivo o fallimentare, come ad esempio gli accordi stragiudiziali individuali, non si applica invece l’agevolazione disposta dall’art. 88, co. 4 del TUIR. Pertanto, ogni eventuale riduzione del debito concorrerà per l’imprenditore in crisi a formare il reddito imponibile ai fini IRES, in quanto sopravvenienza attiva tassabile.

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7) TRANSAZIONE FISCALE: ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE

Alla luce di quanto esposto, è opportuno fornire alcuni spunti di riflessione che gli imprenditori in crisi, proponenti della transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo o della ristrutturazione dei debiti, potrebbero trovarsi a dover valutare.

In primis, l’impossibilità di defalcare dall’importo complessivo dei debiti tributari le somme attinenti all’IVA rischia di comportare problemi finanziari per i debitori. Soprattutto se questi operano attraverso imprese commerciali e quindi presentano volumi di IVA sugli acquisti più elevati.

Nello stato di crisi, requisito basilare per addivenire all’ipotesi di transazione fiscale, infatti, è molto probabile che l’esposizione debitoria dell’imprenditore si concentri sul mancato pagamento dell’IVA, dal momento che le (presumibili) perdite d’esercizio che hanno portato alla crisi del debitore potrebbero aver contenuto l’imposizione diretta sul reddito.

In seconda battuta, la necessità di corrispondere integralmente l’ammontare del debito compromette la par condicio creditorum, in quanto in ipotesi di concordato preventivo con suddivisione in classi, un creditore (l’Amministrazione Finanziaria) potrebbe essere trattato più favorevolmente rispetto ad altri creditori privilegiati (tra cui, paradossalmente, la stessa Amministrazione Finanziaria, relativamente a IRES, IRAP, etc.). In contrasto, quindi, con la parità di trattamento e l’inalterabilità dell’ordine dei privilegi affermate dalla disposizione normativa in questione.

Per quanto riguarda l’efficacia della transazione, va poi ribadita la sostanziale differenza nei due casi prospettati: negli accordi di ristrutturazione dei debiti, la mancata chiusura delle intese con i creditori non tributari non pregiudica l’accordo con l’Amministrazione finanziaria (ossia la transazione stessa). Viceversa, nel caso del concordato preventivo, la proposta di transazione fiscale viaggia in simbiosi con quella più generale rivolta all’intera massa dei creditori. Se la domanda di concordato non viene accettata o è dichiarata inammissibile, lo sarà pure l’ipotesi di transazione fiscale, come confermato anche da recente giurisprudenza. Pertanto, confluendo nel concordato preventivo, la transazione fiscale si realizza insieme a quest’ultimo, con la conseguenza che anche l’Amministrazione Finanziaria e/o il concessionario della riscossione divengono soggetti all’esito della votazione concordataria.

In merito all’oggetto della transazione, detto delle problematiche interpretative in tema di IVA, restano alcuni dubbi in merito ai tributi locali (ICI, TARSU, COSAP, etc.). Questi ultimi, infatti, non rispondono al requisito dettato dall’art. 182-ter di essere “tributi amministrati dalle agenzie fiscali”. Motivo per cui, secondo la circolare n. 40/E del 2008, restano esclusi dall’applicabilità della transazione. Tuttavia, parte della dottrina inquadra come transigibili tali debiti tributari allorché gli enti locali di competenza dei tributi sottoscrivano appositi protocolli con l’Agenzia delle Entrate. Pacifica, invece, la posizione interpretativa predominante in relazione all’IRAP. La quale, pur non generando gettito erariale, è imposta amministrata dalle agenzie fiscali e quindi possibile oggetto di transazione fiscale.

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8) CONCLUSIONI

Alla luce di quanto esposto, la transazione fiscale si presenta come uno strumento utile sia per l’imprenditore in stato di crisi, che può disporre anche dei debiti tributari per cercare di risanare l’impresa e superare il pericolo di dissesto, sia per l’Amministrazione Finanziaria, che può tutelare i propri crediti nei confronti dei casi di crisi aziendali, fenomeno purtroppo in netta crescita nell’attuale quadro economico-finanziario.

La novità dell’istituto, che rende di fatto disponibili debiti indisponibili per definizione (vale a dire i debiti tributari), comporta necessariamente qualche difficoltà operativa, riscontrata nella pratica quotidiana e fin qui confermata dalla scarsa diffusione della transazione fiscale nel primo periodo di sua applicabilità.

Per consentire una più diffusa applicabilità e rendere maggiormente appetibile l’istituto appaiono necessarie un’interpretazione autentica che risolva le questioni in ordine al rispetto dei gradi dei privilegi e una previsione che disciplini uniformemente la partecipazione (e le modalità di valutazione) dei funzionari dell’Amministrazione Finanziaria alle adunanze dei creditori.